They both die at the end di Adam Silvera – recensione
Torno finalmente con una recensione. E sì, è una recensione di un altro libro che fa versare lacrime, che affronta temi come il dolore, la perdita e la morte. Ma anche un libro che sotto sotto inneggia alla vita nel modo più duro che ci sia.
Se ci penso, tutti i libri più belli che ho letto quest’anno sono stati così. Come We Are The Ants che ho recensito qui.
Un po’ come il mio 2018 insomma. Questo anno che è stato difficoltoso. Molto stancante. Una serie di sfide che ancora non sono del tutto finite e che continueranno fino al 2019. Un anno che però è stato anche pieno di vita, di esperienze. Di normalità.
Esattamente come pieno di vita e normalità è anche questo libro che si intitola “Alla fine muoiono entrambi”.
They both die at the end di Adam Silvera
No non è uno spoiler, è proprio il titolo spalmato lì in copertina. Lo sai cosa succede, ancora prima di aprire il libro e leggere la prima parola.
Mateo e Rufus sono due sconosciuti uniti dal fatto che hanno entrambi ricevuto una chiamata da un nuovo servizio sociale che preannuncia la tua morte. Come le previsioni del tempo. Solo che la previsione riguarda la tua imminente dipartita da questo mondo.
Ebbene sì, nel futuro sai che stai per morire perché un call center super organizzato ti informa gentilmente che quello che stai per vivere sarà il tuo ultimo giorno sulla terra.
Nessuno sa come o cosa accadrà, quando accadrà nello specifico. L’unica cosa certa è che la morte inevitabilmente arriverà e tu non ci sarai più.
“And it sucks how we’re all being raised to die. Yes, we live, or we’ve given the chance to, at least, but sometimes living is hard and complicated because of fear”
Essendo la nostra società odierna quello che è, ovviamente sono stati creati migliaia di social network, forum e app al riguardo.
Vuoi fare sesso con uno che sta per morire o stai per morire e vuoi fare sesso con uno sconosciuto? Cerca qualcuno su Necro.
Vuoi fare un live feed del tuo ultimo giorno sulla terra, un misto tra Twitter e Tumblr, un blog dove puoi scrivere, postare foto e video e far vivere al mondo le tue ultime ore? Comincia un feed su CountDowners.
Oppure sei come Mateo, e non vuoi morire da solo. Beh, non vuoi morire punto. Perché non hai neppure cominciato a vivere, come puoi morire a 18 anni se non hai mai vissuto? Dovresti morire da vecchio, circondato da amici, da persone che ti vogliono bene, da figli e nipoti, dopo una vita piena di esperienze. Non completamente solo perché tuo padre è in coma e tu sei sempre stato troppo spaventato per vivere davvero. Figli e nipoti? Non hai mai avuto il coraggio di ammettere che sei gay, figuriamoci incontrare qualcuno e innamorarti.
“I guess what I’ll miss most are the wasted opportunities to live my life”
E’ qui che entra in gioco Last Friend: un’app che ti mette in contatto con gente che cerca un amico o che vuole supportare qualcuno nel suo ultimo giorno di vita. L’app dove Mateo incontra Rufus.
Rufus che ha vissuto questa tragedia già una volta. Quando il call center super efficiente ha chiamato e l’operatore ha voluto parlare con suo padre, sua madre e sua sorella. Uno dopo l’altro. Rufus che nonostante tutto è stato in grado di ricrearsi una piccola famiglia nella casa di accoglienza dove è finito.
Rufus che non pensa, agisce e basta. Picchia il nuovo ragazzo della sua ex ed è costretto a scappare dal suo funerale pre-morte perché la polizia lo cerca per interrogarlo sul pestaggio. Rufus che ha aperto un account Instagram dove tutte le foto sono in bianco e nero, perché lui i colori li ha persi il giorno in cui tutta la sua famiglia è morta lasciandolo solo. Rufus che è bi e vive la sua sessualità come ha vissuto la vita fino a quel momento, senza farsi domande. Questo ragazzo su una bicicletta che nonostante tutto non è pronto a morire, che finisce per trascinare Mateo con sé, cercando di riempire di mille colori almeno quelle ultime ore che rimangono.
Mateo d’altro canto è timido, ha paura, ha bisogno di una spinta per non sprecare le sue ultime ore di vita. E’ un ragazzo solo ma buono, il tipo di ragazzo che è pronto a togliersi le scarpe ed a donarle ad uno sconosciuto che ha incontrato per strada.
Mateo che non merita di morire.
Ma siamo onesti, chi lo merita davvero? Non Rufus. Non Mateo. Non tu. Non io.
“There has to be more to life than imagining a future for yourself. I can’t just wish for the future, I have to take risks to create it”
Penso che il pugno nello stomaco più grande sia quanto anti-climatico sia questo libro. Che è anche il motivo che lo rende assolutamente reale, bellissimo e terrificante allo stesso tempo.
Mateo e Rufus sono due ragazzi normali. Nelle loro ultime 24 ore di vita non salvano il mondo. Non si trasformano in eroi. Non scoprono la cura per il cancro. Verranno ricordati solo da quei pochi amici e conoscenti che hanno.
Cercano di vivere il loro ultimo giorno al meglio. Fanno colazione nel ristorante preferito di Rufus. Dicono addio all’amica di Mateo e visitano la tomba della madre. Costruiscono un santuario di Lego. Ballano in un locale e cantano un duetto al karaoke. Cose assolutamente normali e anti-climatiche.
E in questa normalità Mateo e Rufus si trovano, si capiscano, si riempiono a vicenda gli spazi vuoti che avevano dentro. Tra una cosa e l’altro finiscono anche per innamorarsi. E magari se avessero più tempo la loro storia sarebbe epica. Di quelle che potrebbero essere trasformate in un film. Purtroppo però questa è la vita, e la vita non aspetta nessuno. La morte è sempre dietro l’angolo e quando arriva è assolutamente anti-climatica.
Mateo e Rufus non muoiono in qualche modo eroico o rocambolesco, salvando altri esseri umani, guadagnando la prima pagina di tutti i giornali. Muoiono esattamente come i due normalissimi ragazzini che sono.
“I doubt the world is in the mood for a miracle, so we know not to expect a happily-ever-after. I only care about the endings we lived through today”
Ma d’altronde non ci si può aspettare niente di diverso. In questa pazza giostra che è la vita, siamo tutti sulle montagne russe. Stiamo tutti andando alla velocità della luce verso una fine non ben definita. Tutto sta nel godersi il giro al massimo prima che la giostra si fermi, il parco chiuda e tu debba scendere.
E come te lo godi il giro?
Qualcuno sì, si trasforma davvero in eroe. Qualcuno scenderà da quella giostra accompagnato dagli applausi di milioni di persone che ricorderanno per sempre la canzone, il film, il libro che si sono lasciati alle spalle.
Ma la maggior parte della gente scenderà senza rulli di tamburi, fanfare o fuochi di artificio. Esattamente come Rufus e Mateo. Preparando il the. Oppure attraversando la strada. Accompagnati non da milioni di persone ma dall’affetto di pochi.
“No matter when it happens, we all have our endings. No one goes on but what we leave behind keeps us alive for someone else”
Un libro che mi ha fatto riflettere molto. Su me stessa. Sulla vita che sto vivendo e su come la sto vivendo. Su come la voglio vivere. Forse complice anche il fatto che siamo alla fine dell’anno, il periodo perfetto per tirare le somme.
Perché alla fine dei conti la domanda è una sola: tu cosa faresti se sapessi che queste sono le tue ultime 24 ore di vita?
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